"CIÒ CHE NON UCCIDE, FORTIFICA".
LA CATTIVA ABITUDINE DELLA CITAZIONE A SPROPOSITO


L'altra settimana una mia alunna di seconda, classe in cui insegno scienze sociali, al termine della lezione, si avvicina alla cattedra per chiedermi qualcosa. Accertatasi del fatto che insegno anche filosofia, mi chiede delucidazioni su un'aforisma che ha sentito da qualche parte e del quale sarebbe autore Friedrich Nietzsche. Non lo ricorda bene; balbetta qualcosa come:

"Ciò che non uccide, fortifica?", rispondo io.

Lei conferma. Per quanto ne sa si tratta di un'affermazione di Nietzsche, ma non ne è sicura, e vorrebbe avere da me una conferma al riguardo. Le rispondo che anch'io credo che si tratti di una citazione nietzscheana, ma la metto in guardia dal fidarsi troppo delle citazioni. Nietzsche, l'avverto, condivide con una cerchia di altri filosofi, come Marx e Platone, il singolare destino di essere spesso citato e nominato da gente che di lui ha letto sì e no tre righe, quando va bene. Perciò la mando a posto assicurandole che la prossima volta sarà mia premura farle avere un chiarimento al riguardo.

Blaise Nietzsche
Friedrich Nietzsche

Quel giorno stesso, mi impegno in una rapida ricerca in rete. Nella mia biblioteca personale, malgrado non manchino esemplari della produzione nietzscheana, al momento non compare Ecce homo, dal quale proviene la citazione in questione, precisamente del secondo paragrafo del primo capitolo, Perché sono così saggio. Sono le righe in cui, rispondendo all'accusa di essere un "decadente", Nietzsche ammette di esserlo, ma di esserne anche il contrario.

Paragonandosi all'oltre-uomo che ha superato i limiti posti dalla morale comune ormai morta e sepolta - quindi, in effetti, un decadente, il prodotto di una civiltà ormai alla fine e che deve lasciare il posto a una nuova consapevolezza più vicina allo spirito originario dell'umanità stessa -, il Nostro afferma che persino la malattia rappresenta un'energica stimolazione a oltrepassare i propri confini, ad andare verso una Oltre-Vita (für einen typisch Gesunden kann umgekehrt Kranksein sogar ein energisches Stimulans zum Leben, zum Mehr-leben sein).

Perciò l'uomo che è guarito dalla malattia mortale della morale tradizionale rinasce a nuova vita; e (qui veniamo al punto) "ciò che non lo uccide, lo rende più forte" (was ihn nicht umbringt, macht ihn stärker).


Passano due giorni. Presa in prestito un'opera omnia di Nietzsche in edizione economica dalla biblioteca della scuola (certo, l'edizione Adelphi è quella citata in tutte le bibliografie delle tesi di laurea ove Nietzsche venga menzionato, ma alla bisogna, anche questa può andar bene; peraltro un rapido confronto con il testo originario scovato su internet mostra una soddisfacente aderenza della traduzione, almeno nel passo considerato), al termine delle due ore di lezione in quella classe, quando tutti stanno rimettendo a posto le loro cose prima dell'agognato squillo di campana delle 13.05, chiamo alla cattedra l'alunna incuriosita e le spiego che:

  1. la citazione in questione è effettivamente farina del sacco di Nietzsche;
  2. è tratta da un passo dell'Ecce homo in cui lui spiega, bla bla bla (non mi ripeto per non tediarvi), passo che le mostro sul testo;
  3. last but not least, come per l'appunto avevo accennato in precedenza, questa frase spesso viene decontestualizzata e storpiata in senso rozzamente individualistico, quasi fosse il primo comandamento dei "veri duri": "ciò che non ti uccide, ti rende più forte". Affermazione su cui peraltro c'è poco da essere d'accordo, aggiungo: ciò che non ti uccide, spesso e volentieri non solo non ti fortifica, ma al contrario ti rende più debole: ti mutila, ti butta a terra, ti lascia ferite che non si rimargineranno mai del tutto.

E qui - dopo aver sia soddisfatto la curiosità della mia alunna, sia onorato il mio ruolo di guida culturale e di dispensatore di saperi - veniamo al vero punto di questo intervento. Penso che vi sarete accorti tutti della mania di citare a destra e a manca questo e quell'autore. Forse però non tutti vi sarete accorti del modo in cui vengono citati tali autori. Soprattutto, di come certe citazioni, espresse a sproposito, finiscano per assumere un significato completamente diverso o comunque distorto rispetto all'origine.

Ci sono autori che si prestano ad essere citati meglio di altri, magari perché inseriscono motti di spirito, arguzie, paradossi, frasi ad effetto, che anche prese al di fuori del loro contesto vivono, per così dire, di vita propria. Esempio tipico, Oscar Wilde - uno che si divertiva moltissimo a spiazzare i suoi lettori con battute e osservazioni fulminanti.

Però ce ne sono altri che, poveri loro, raramente si sottraggono alla triste sorte di vedersi banalizzati nell'uso ripetitivo di poche parole che vengono sì dalla loro penna, ma che, nelle loro intenzioni, volevano intendere tutt'altro.

Friedrich Nietzsche in questo costituisce un altro bell'esempio. Persino quei loschi figuri della sorella Elisabeth e di Peter Gast contribuirono con le loro manipolazioni, subito dopo la sua morte, ad alimentare la leggenda nera di Nietzsche precursore del nazismo. Ora, se è vero che il nazismo nasce in un contesto di totale rifiuto dell'eredità della tradizione della ragione pensante - contesto al quale Nietzsche, che lo si gradisca o no, ha pure dato del suo -, è altrettanto vero che l'uso arbitrario di affermazioni decontestualizzate dal loro tessuto originario può portare, se non a fraintendimenti della gravità di quelli di cui Nietzsche è stato suo malgrado protagonista, quantomeno a uno svilimento, a una riduzione a vuote formulette buone per tutte le stagioni di pensieri che meritano ben altra considerazione.

Blaise Pascal
Blaise Pascal

Prendiamo un altro caso famoso. Celebre è la frase di Blaise Pascal che recita:

Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.

Detta così, senza saper nulla delle intenzioni che portarono l'autore a scrivere queste parole, sembrerebbe una frase romantica, perfetta per i foglietti dei Baci Perugina; e in effetti, mi par di ricordare che tanti anni fa lessi questa frase per la prima volta proprio su uno di questi foglietti. Sembrerebbe che qui Pascal voglia dire: i sentimenti non possono essere governati dalla ragione; al cuore non si comanda; non si può razionalizzare l'attrazione che proviamo per qualcuno; l'amore vince tutto... di questo passo, credo che ognuno potrebbe continuare questa sequela di ovvietà senza troppi problemi.

Senonché, proviamo invece a leggere la frase nel suo contesto:


Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce: lo vediamo in mille cose. Io affermo che il cuore ama naturalmente l'essere universale, e se stesso naturalmente, secondo se si volge verso l'uno o verso l'altro, o se si indurisce contro l'uno o contro l'altro, a propria scelta. Avete respinto l'uno e conservato l'altro: amate voi stessi per ragione?

È il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ecco che cos'è la fede: Dio sensibile al cuore, e non alla ragione.

La fede è un dono di Dio: non pensiate che diciamo che è un dono del ragionamento. Le altre religioni non dicono questo della loro fede: offrivano, per arrivarci, soltanto il ragionamento, il quale però non ci conduce.
Quanta lontananza c'è tra conoscere Dio e amarlo!

(Blaise Pascal, Pensieri, 277-280, tr. Luisa Collodi, Roma, Newton Compton 1993)


Come vedete, una volta considerata quell'affermazione nel proprio contesto originario, non è difficile notare - anche perché qui Pascal è di una chiarezza lampante - che essa non c'entra assolutamente nulla con quelle interpretazioni smielate che potevano ricavarsi all'inizio.

Pascal parla delle "ragioni del cuore" nel senso di quella illuminazione sovrannaturale che permette al cristiano di concepire la fede in Dio come un'esigenza profonda, viscerale, al di là di ogni tentativo di cogliere il divino attraverso la ragione - cosa che invece ritenevano, seppur con accenti ben diversi tra loro, altre menti illustri dell'epoca quali Cartesio e Spinoza. Cosa c'entri questo con i Baci Perugina, rimane per me un mistero insondabile.


Credo dunque che ormai sia chiaro il senso di questo mio intervento: cioè che il pascersi di citazioni, l'uso smodato di frasi prese da questo e quell'autore, spesso storpiate o comunque avulse dal loro contesto di provenienza, utilizzate per fini parzialmente o totalmente estranei al loro significato autentico, sia una dimostrazione di profonda ignoranza.

Le citazioni, così intese, diventano nel migliore dei casi luoghi comuni, frasi fatte, parole svuotate di qualsiasi energia; nel peggiore, costituiscono - come abbiamo visto nei due esempi precedenti - un vero e proprio travisamento, se non tradimento, del pensiero di chi le ha espresse. Entrambe le situazioni sono assolutamente da evitare, se non si vuole arrivare ad alimentare ulteriormente quella sottocultura post-moderna, già ampiamente diffusa nella nostra società occidentale, fatta di pezzi di culture e tradizioni diverse tagliuzzate senza alcun discernimento e messe insieme in un gran calderone, entro il quale bolle una brodaglia insipida che è l'esatto opposto del pane della conoscenza (perdonatemi per l'immagine alquanto abusata), lavorato e cotto coi suoi tempi.

Franco Battiato
Franco Battiato

Ecco quindi che abbiamo - come in tempi non sospetti denunciava ironicamente Franco Battiato in Magic Shop, mi si passi la citazione! - "i budda sopra i comodini" mescolati ai "mantra e gli hare hare a mille lire" e alle "rubriche aperte sui peli del papa": una conoscenza superficiale, distorta, d'accatto, messa insieme cucendo pezze di varia provenienza e il cui risultato non è una simpatica e calda coperta patchwork, ma una illusoria e pericolosamente consolatoria pseudo-conoscenza che - se possibile - è ancora peggiore della pura ignoranza. Chi infatti è totalmente ignorante è ancora una tabula rasa, mantiene quanto meno una sua purezza originaria; ma chi si è lasciato incrostare il cervello da questi cascami di nozionismo peraltro fasullo, dovrebbe compiere un'operazione di cui il "vero" ignorante non ha bisogno, ossia azzerare tutto quello che crede di sapere, liberandosi dalla zavorra che lo opprime.

Del resto, quanto spesso il maniaco della citazione sia ignaro del vero senso di ciò che crede di sapere è dimostrato non solo dalla frequenza eccessiva e fuori luogo con cui usa tali brani, o dal loro uso in un senso del tutto diverso da quello originario; a volte, infatti, si prendono per buone le citazioni solo perché le si legge o sente dire, senza preoccuparsi se effettivamente vengano da una fonte veritiera.

Jim Morrison
Jim Morrison

Tanto per fare un altro esempio: pensate a quante frasi insulse vengono attribuite a Jim Morrison. Credo che il buon Re Lucertola si rivolterebbe nella tomba, se sapesse che esistono persone le quali lo credono l'autore di perle di saggezza quali quelle che si leggono ogni tanto su certi muri reali e virtuali. Internet ha avuto in questo, purtroppo, un ruolo non secondario, per via di un altro malcostume, quello basato sul pregiudizio secondo cui tutto ciò che si trova in rete è oro colato, soprattutto quando viene dai primi tre risultati di una ricerca tramite Google.


Morale della favola: la conoscenza è un processo lungo e faticoso, che implica un non indifferente sforzo di ricerca e valutazione delle fonti, confronto tra posizioni diverse, spirito critico e tante altre belle cose. Noi occidentali, che siamo diventati ormai talmente sfaticati da volere tutto e subito, pur di fare sfoggio di ciò che non abbiamo, ci contentiamo, attraverso l'abuso delle citazioni, di mostrare di sapere ciò che non sappiamo e di illudere noi stessi e gli altri di aver capito tutto, quando in realtà non abbiamo capito proprio un bel nulla, ma abbiamo invece annacquato e deformato, in quelle frasette rassicuranti, saperi e pensieri di ben altro spessore.